Disp. Att. Trans. Codice Civile - 30/03/1942 - n. 318 art. 67[I]. Ogni condomino può intervenire all'assemblea anche a mezzo di rappresentante, munito di delega scritta. Se i condomini sono più di venti, il delegato non può rappresentare più di un quinto dei condomini e del valore proporzionale [II]. Qualora un'unità immobiliare appartenga in proprietà indivisa a più persone, queste hanno diritto a un solo rappresentante nell'assemblea, che è designato dai comproprietari interessati a norma dell'articolo 1106 del codice. [III]. Nei casi di cui all'articolo 1117-bis del codice, quando i partecipanti sono complessivamente più di sessanta, ciascun condominio deve designare, con la maggioranza di cui all'articolo 1136, quinto comma, del codice, il proprio rappresentante all'assemblea per la gestione ordinaria delle parti comuni a più condominii e per la nomina dell'amministratore. In mancanza, ciascun partecipante può chiedere che l'autorità giudiziaria nomini il rappresentante del proprio condominio. Qualora alcuni dei condominii interessati non abbiano nominato il proprio rappresentante, l'autorità giudiziaria provvede alla nomina su ricorso anche di uno solo dei rappresentanti già nominati, previa diffida a provvedervi entro un congruo termine. La diffida ed il ricorso all'autorità giudiziaria sono notificati al condominio cui si riferiscono in persona dell'amministratore o, in mancanza, a tutti i condomini. [IV]. Ogni limite o condizione al potere di rappresentanza si considera non apposto. Il rappresentante risponde con le regole del mandato e comunica tempestivamente all'amministratore di ciascun condominio l'ordine del giorno e le decisioni assunte dall'assemblea dei rappresentanti dei condominii. L'amministratore riferisce in assemblea. [V]. All'amministratore non possono essere conferite deleghe per la partecipazione a qualunque assemblea. [VI]. L'usufruttuario di un piano o porzione di piano dell'edificio esercita il diritto di voto negli affari che attengono all'ordinaria amministrazione e al semplice godimento delle cose e dei servizi comuni. [VII]. Nelle altre deliberazioni, il diritto di voto spetta ai proprietari, salvi i casi in cui l'usufruttuario intenda avvalersi del diritto di cui all'articolo 1006 del codice ovvero si tratti di lavori od opere ai sensi degli articoli 985 e 986 del codice. In tutti questi casi l'avviso di convocazione deve essere comunicato sia all'usufruttuario sia al nudo proprietario. [VIII]. Il nudo proprietario e l'usufruttuario rispondono solidalmente per il pagamento dei contributi dovuti all'amministrazione condominiale (1) Articolo sostituito dall'art. 21, l. 11 dicembre 2012, n. 220. Il testo precedente recitava: «[I] Ogni condomino può intervenire all'assemblea anche a mezzo di rappresentante. [II]. Qualora un piano o porzione di piano dell'edificio appartenga in proprietà indivisa a più persone, queste hanno diritto a un solo rappresentante nella assemblea, che è designato dai comproprietari interessati; in mancanza provvede per sorteggio il presidente. [III]. L'usufruttuario di un piano o porzione di piano dell'edificio esercita il diritto di voto negli affari che attengono all'ordinaria amministrazione e al semplice godimento delle cose e dei servizi comuni. [IV]. Nelle deliberazioni che riguardano innovazioni, ricostruzioni od opere di manutenzione straordinaria delle parti comuni dell'edificio il diritto di voto spetta invece al proprietario». La modifica è entrata in vigore il 18 giugno 2013. InquadramentoIl novellato comma 1 dell'art. 67 disp. att. c.c. conferma il principio generale secondo il quale «ogni condomino può intervenire all'assemblea anche a mezzo di rappresentante», ma introduce un duplice limite, per così dire, quantitativo e soggettivo alla facoltà di conferire deleghe. Anche il testo del comma 2 del citato art. 67 risulta mutato a seguito della Riforma del 2013, in quanto ora si prevede che, nell'ipotesi in cui un'unità immobiliare appartenga in comproprietà a più persone, queste ultime hanno diritto ad un solo rappresentante nell'assemblea, che deve essere «designato dai comproprietari interessati a norma dell'art. 1106 c.c., e non più per sorteggio ad opera del presidente dell'assemblea medesima. I successivi tre capoversi si preoccupano di regolamentare il funzionamento dell'assemblea nel supercondominio delineato nell'art. 1117-bis c.c., nella sola ipotesi in cui i partecipanti risultino complessivamente più di sessanta, stabilendo che ciascun condominio debba designare, con la maggioranza di cui all'art. 1136, comma 5, c.c., il proprio «rappresentante all'assemblea» per la gestione ordinaria delle parti comuni a più condominii e per la nomina dell'amministratore. Chiudono l'articolo in commento i commi 6, 7 e 8, i quali ridefiniscono, nell'ipotesi in cui un'unità immobiliare sia in regime di usufrutto, le materie in cui può votare l'usufruttuario ed il nudo proprietario, con indubbi riflessi riguardo al destinatario dell'avviso di convocazione dell'assemblea ed al riparto delle spese tra gli stessi. Partecipazione delegataIntervento a mezzo di rappresentante L'incipit del novellato comma 1 dell'art. 67 disp. att. c.c. è lo stesso del testo precedente, confermando il principio generale secondo il quale «ogni condomino può intervenire all'assemblea anche a mezzo di rappresentante», e ciò in ogni caso, e non solo a causa di un impedimento, essendo la partecipazione all'assemblea rimessa alla volontà del singolo. In tal modo, il condomino delegante è considerato «presente» ad ogni effetto (Balzani, 231), con ovvii riflessi in ordine alla legittimazione all'impugnazione ed alla decorrenza per il ricorso all'autorità giudiziaria (ai fini del calcolo del quorum costitutivo, ad esempio, si deve procedere all'appello nominativo dei condomini, presenti personalmente o per delega, ed alla contemporanea somma dei millesimi relativi alle varie unità immobiliari site nell'edificio condominiale). Salvo espressi divieti contenuti nel regolamento condominiale, chiunque può rappresentare un condomino in assemblea, sia esso un altro condomino, un familiare, il conduttore, una persona estranea alla compagine condominiale; nulla esclude, poi, che i delegati possano rappresentare più condomini, a meno che non vi sia un'apposita disposizione del regolamento che tenda ad evitare che si faccia incetta di voti (v. anche appresso). Inoltre, secondo la regola generale sulla rappresentanza, il delegato non può a sua volta delegare; ne consegue, ad esempio, che, se il delegato si debba allontanare dalla riunione condominiale prima della conclusione della discussione degli argomenti all'ordine del giorno, non può delegare, a sua volta, un'altra persona, atteso che la delega è paragonabile ad un mandato fondato sull'intuitus personae del mandante nei confronti del mandatario. La delega non è frazionabile, nel senso che il proprietario di più unità immobiliari site nell'edificio condominiale non può conferire più deleghe, perché la qualità di condomino è unica ed indivisibile, essendo irrilevante la quantità delle proprietà esclusive o la loro estensione. Quanto sopra si riferisce, ovviamente, alla rappresentanza c.d. volontaria, cioè quella che si verifica appunto a seguito di un atto volontario dell'interessato, che conferisca ad un altro soggetto l'incarico di rappresentarlo in assemblea; diversa è, invece, la rappresentanza c.d. necessaria, che è quella imposta dalla legge a favore dell'incapace il quale difetta della potestas agendi, come, ad esempio, nell'ipotesi in cui il proprietario dell'unità immobiliare facente parte dello stabile condominiale sia un minore, un interdetto o un inabilitato, nel qual caso questi ultimi saranno rappresentati, rispettivamente, dall'esercente la potestà, dal tutore o dal curatore. Resta inteso che il soggetto il quale partecipa all'assemblea – non solo in rappresentanza di se stesso, qualora sia condomino, ma anche – nella qualità di portatore della volontà del suo o dei suoi deleganti, dovrebbe rispettare le indicazioni pervenutegli da questi, a meno che trattasi di delega rilasciata «in bianco» nel quale caso il delegato godrà di ampia libertà al momento della discussione e del voto. Succede, talvolta, che il delegato, in sede di voto, non si uniformi alle direttive impartite dal delegante, per cui ci si è interrogati sul soggetto che possa far valere tale discrepanza e su quali effetti conseguano sul deliberato assembleare. La risposta della giurisprudenza è stata concorde nel senso che, in difetto di norme particolari, i rapporti tra il rappresentante intervenuto in assemblea ed il condomino rappresentato devono ritenersi disciplinati dalle regole generali sul mandato, e tali regole devono essere intese con una certa larghezza, secondo il chiaro intendimento legislativo di agevolare, con il rispetto dei principi, il funzionamento dell'assemblea dei condomini; ne consegue che solo il condomino delegante o quello che si ritenga falsamente rappresentato sono legittimati a far valere gli eventuali vizi della delega oppure la carenza o l'eccesso del potere di rappresentanza, e non anche gli altri condomini estranei a tale rapporto (v., ex multis, Cass. II, n. 2218/2013; Cass. II, n. 12466/2004; Cass. II, n. 8116/1999; ad avviso di Cass. II, n. 4531/2003, l'operato del delegato nel corso dell'assemblea non è nullo e neppure annullabile ma inefficace nei confronti del delegante fino alla ratifica di questi, e tale inefficacia, temporanea, non è tuttavia rilevabile d'ufficio, ma solo su eccezione del condomino pseudo-r appresentato).D'altronde, tale conclusione è in linea con i principi affermati dalla giurisprudenza in tema di falsus procurator: atteso che il negozio concluso da quest'ultimo è inefficace nei confronti del dominus fino alla ratifica di questi, e che tale inefficacia non è rilevabile d'ufficio, ma solo su eccezione di parte, la relativa legittimazione spetta esclusivamente allo pseudo-rappresentato, e non già all'altro contraente il quale, ai sensi dell'art. 1398 c.c., può unicamente chiedere al falsus procurator il risarcimento dei danni per aver confidato senza propria colpa nell'operatività del contratto (Cass. II, n. 3952/1994). Qualora, poi, il delegato si sia discostato dalle direttive imposte dal delegante – nell'ipotesi della delega c.d. titolata, contrapposta a quella c.d. in bianco in cui il condomino ratifica incondizionatamente qualsiasi decisione assunta dal delegato – il primo sarà responsabile, solo sotto il profilo interno, degli eventuali danni che la statuizione abbia arrecato al secondo; il difetto di rappresentanza in una deliberazione assembleare non produce la nullità dell'atto, in quanto, di fronte all'assemblea, quello che vale è il voto espresso dal rappresentante, anche se in contrasto con le istruzioni ricevute dal rappresentato. Comunque, la delega è valida anche se generica, restando comunque l'oggetto determinato dall'ordine del giorno dell'assemblea per la quale è stata conferita, poiché l'indicazione del predetto ordine del giorno è volta anche a circoscrivere l'àmbito dei poteri deliberativi del delegato; il che porta ad escludere che il delegato possa partecipare ad una deliberazione su un argomento non inserito nell'ordine del giorno (Trib. Torino 30 novembre 1988). Forma scritta Il comma 1 dell'art. 67 disp. att. c.c. puntualizza, altresì, che il delegato deve essere «munito di delega scritta», sicché, in difetto, ora il condomino delegante non può più essere considerato presente in assemblea (Figini, 493). In precedenza, il codice civile, prevedendo la possibilità per il condomino di presenziare all'assemblea anche a mezzo di rappresentante, non stabiliva la forma che dovesse rivestire tale delega (purché, in caso di contestazione, fosse portata a conoscenza degli altri condomini presenti in assemblea). In linea generale – sempre che il regolamento di condominio non avesse disciplinato anche l'aspetto «formale» del relativo conferimento – nulla escludeva che tale delega fosse orale, salvo precisare la necessità del mandato scritto ogni qual volta si deliberava su rapporti per i quali fosse prescritto, ad probationem o ad substantiam, l'atto scritto, dovendo anche la delega possedere gli stessi requisiti formali della deliberazione (in questa prospettiva, la dottrina si è preoccupata di distinguere la forma della delega a seconda dell'argomento da trattare nell'assemblea: Salis, 748; Tortorici 2007, 692; De Tilla 2000, 362). Non trovava, però, applicazione analogica l'art. 2382 c.c. circa la necessità del mandato scritto per la rappresentanza nell'assemblea delle società per azioni, potendo semmai richiamarsi il disposto dell'ultimo comma dell'art. 1136 c.c. che richiedeva la redazione del processo verbale per le deliberazioni dell'assemblea, per cui, se questa redazione si riteneva necessaria (ad probationem o ad substantiam), lo stesso formalismo avrebbe dovuto applicarsi anche per le deleghe. In pratica, il mandato poteva essere conferito in qualsiasi forma che fosse consentita dall'oggetto, e la rappresentanza poteva essere dedotta, oltre che da un'espressa dichiarazione del soggetto agente, anche da ogni altro elemento da cui risultasse che l'attività del soggetto si svolgeva in attuazione di un potere rappresentativo a lui conferito; se, poi, le deliberazioni concrete avevano valore, in quanto richiamate specificatamente nel verbale scritto, di esse dovevano costituire parte integrante le documentazioni delle rappresentanze, in quanto necessariamente concorrenti a stabilire la realtà delle presenze e della regolarità delle votazioni (per un'applicazione concreta di tali principi, v. Cass. II, n. 982/1998, nell'ipotesi di dismissione dell'uso dell'impianto centralizzato di riscaldamento e consenso ad installare impianti autonomi negli appartamenti). Le questioni avrebbero potuto essere risolte qualora il condomino avesse rilasciato al proprio rappresentante un'apposita procura ad amministrare (di solito, con rogito notarile), stante che, ai sensi dell'art. 1708 c.c., il mandato includeva non solo gli atti per i quali era stato conferito, ma anche quelli che erano necessari al loro compimento, tra i quali ben poteva rientrare la partecipazione alle assemblee condominiali; tale procura poteva essere generale, e in tal caso il mandatario, munito di poteri di ordinaria e straordinaria amministrazione – di regola, per questi ultimi, il mandato doveva indicarlo espressamente, ad esempio, per partecipare ad assemblee riguardanti innovazioni – agiva in nome e per conto del mandante in un àmbito più generale, oppure poteva essere speciale, ossia riferita a determinati affari, specificati dalle parti quanto al numero degli atti o/e alla natura degli atti o/e al periodo di tempo in cui gli stessi dovevano essere compiuti, con ciò avvicinandosi alla delega di cui all'art. 67 disp. att. c.c., che appunto riguardava un'attività ben determinata. La delega, infine, non richiedendo formalità alcuna, poteva essere provata anche sulla base di semplici presunzioni, come nel caso in cui l'intervenuto fosse il coniuge convivente del condomino (non in posizione di conflitto di interessi); al riguardo, si richiamava la giurisprudenza formatasi sul punto – v. appresso – secondo cui, affinché uno dei comproprietari pro indiviso di un piano o porzione di piano potesse ritenersi ritualmente convocato a partecipare all'assemblea del condominio, nonché validamente rappresentato nella medesima, riguardo ad affari di ordinaria amministrazione, dall'altro comproprietario della stessa unità immobiliare, non si richiedevano particolari formalità, essendo sufficiente che risultasse provato, anche per presunzioni – sempre che le circostanze fossero gravi, precise e concordanti – che il primo dei predetti comproprietari aveva ricevuto effettiva notizia della convocazione dell'assemblea, ed aveva, sia pure verbalmente, il potere di rappresentanza all'altro. In particolare, per quanto concerne gli affari di ordinaria amministrazione, si era opinato che il potere rappresentativo conferito dal condomino ad altro soggetto per la partecipazione all'assemblea, poteva essere attribuito anche verbalmente, e la prova dell'esistenza dell'oggetto e dei limiti del mandato poteva essere acquisita con ogni mezzo. Ad esempio, non era richiesta la forma scritta per la rappresentanza di un condomino nell'assemblea, nel caso in cui questa avesse ad oggetto l'approvazione (formazione e modifica) delle tabelle millesimali, in quanto tale approvazione, quale atto di mera natura valutativa del patrimonio, ai limitati effetti della distribuzione del carico delle spese condominiali, nonché della misura del diritto di partecipazione alla formazione della volontà assembleare del condominio, non era idonea ad incidere sulla consistenza dei diritti reali a ciascuno spettanti (Cass. II, n. 3634/1979; contra, Trib. Firenze 25 giugno 1991, sul presupposto che l'approvazione delle tabelle millesimali costituiva un atto negoziale; cui adde Cass. II, n. 3251/1998, la quale ammetteva, in questi casi, la validità del consenso espresso dai delegati verbali dei condomini, senza la necessità, quindi, di una procura scritta, potendo il mandato essere provato con qualsiasi mezzo, anche per facta concludentia, come nel caso di prolungata accettazione dei bilanci). Tale orientamento induceva a ritenere che, a contrario, per gli atti di straordinaria amministrazione, a differenza di quelli ordinari, fosse necessaria la delega scritta, tuttavia, nel silenzio della legge sul punto, non poteva escludersi anche in questo caso il mandato orale. L'attuale versione dell'art. 67 disp. att. c.c. stabilisce, invece, che la delega debba essere sempre «scritta», non distinguendo tra ordinaria e straordinaria amministrazione (De Tilla 2013, 491). Analogamente a quanto previsto per l'avviso di convocazione – v. art. 66, comma 3, disp. att. c.c., al cui commento si rinvia – la delega potrebbe essere, oltre che consegnata a mani del delegato, spedita per raccomandata, o anche conferita via fax o per posta elettronica (meglio se certificata), che sono mezzi di trasmissione di documenti tra luoghi di solito notevolmente lontani tra loro, utilizzando le reti telefoniche ed il computer, con appositi terminali che permettono di riprodurre materialmente a distanza il contenuto di uno stesso documento (l'eventuale mancanza di sottoscrizione potrebbe essere ovviata risalendo alla paternità del documento elettronico mediante idonei segnali di identificazione trasmessi dagli elaboratori). Adottando indistintamente tali modalità di conferimento, dovrebbero, quindi, ritenersi superate tutte quelle dispute in ordine alla prova sopra delineate. Norma inderogabile L'art. 67 disp. att. c.c. continua ad essere espressamente inderogabile da una norma regolamentare in forza del successivo art. 72 disp. att. c.c. Si tratta, però, di verificare se la suddetta inderogabilità riguardi esclusivamente il potere del condomino di conferire apposita delega, e non attenga, ad esempio, ai profili soggettivi e oggettivi, concernenti, rispettivamente, la figura del rappresentante o il numero delle deleghe. Si pensi, infatti, alla disposizione che imponga al singolo di intervenire esclusivamente di persona alle riunioni o, detto a contrario, che escluda assolutamente la facoltà del condomino di intervenire a mezzo di delega, o si pensi alle disposizioni che vietino di delegare un esterno per prevenire eventuali turbamenti nella vita condominiale, oppure limitino la quantità di deleghe al fine di evitare il cumulo delle stesse nelle mani di uno stesso soggetto. Sull'argomento, il Supremo Collegio (Cass. II, n. 4530/1982) è dell'avviso che la clausola del regolamento di condominio, che limita il potere di rappresentanza, nel senso che possa essere esercitato solo tramite determinate persone – nella specie, parenti o altro condomino – non contrasta con la normativa sul diritto inderogabile del condomino a farsi rappresentare in assemblea (artt. 67 e 72 disp. att. c.c.), in quanto la stessa non è ostativa della regolamentazione di tale diritto quanto alle concrete modalità di esercizio; tale regola, di natura contrattuale, incidente così nella sfera dei diritti e degli obblighi propri di ciascun condomino, assoggetta tutti i condomini che l'hanno accettata ad un vinculum iuris negoziale avente forma di legge e, perciò, insuscettibile di essere sciolto senza il consenso unanime degli interessati. In altri termini, salvaguardando la possibilità dell'istituto della rappresentanza e concedendo al regolamento il potere di disciplinarne la portata, non siamo in presenza di un contrasto di tali limitazioni con il disposto, dichiarato inderogabile, dell'art. 67 in esame: il diritto in esame non viene negato, ma soltanto disciplinato nel suo concreto esercizio, non escludendo mai la possibilità del singolo di farsi rappresentare da un soggetto di sua fiducia all'interno dell'assemblea condominiale. Stesse considerazioni valgono sul versante «quantitativo» della delega, nel senso che limitare il potere dei condomini stessi di farsi rappresentare nelle assemblee non incide sulla facoltà di ciascun condomino di intervenire a questa a mezzo di rappresentante (art. 67, comma 1, disp. att. c.c.), ma regola l'esercizio di quel diritto, inderogabile (secondo quanto si evince dal successivo art. 72) a presidio della superiore esigenza di garantire l'effettività del dibattito e la concreta collegialità delle assemblee, nell'interesse comune dei partecipanti alla comunione, considerati nel loro complesso e singolarmente (Cass. II, n. 5315/1998, nella specie, si era ridotta la possibilità a non più di due deleghe; tra le pronunce di merito, si segnala Trib. Milano 15 giugno 1989). In quest'ordine di concetti, non si può dare una rilevanza decisiva al fatto che il potere di intervenire all'assemblea e di esprimere il proprio voto sugli argomenti posti all'ordine del giorno a mezzo di rappresentante, che già spetterebbe in principio a ciascun condomino in applicazione delle regole generali sul mandato e sulla rappresentanza, sia stato ribadito dal legislatore dal comma 1 dell'art. 67 citato, considerata anche l'ampia e generica portata letterale della norma in oggetto – «ogni condomino può intervenire all'assemblea anche a mezzo di rappresentante» – alla quale il successivo art. 72 ha inteso disporre il carattere dell'imperatività rispetto all'autonomia privata. Si può, dunque, convenire che, anche in presenza di singole clausole regolamentari che impongano limitazioni nelle modalità di esercizio del diritto del condomino a farsi rappresentare in assemblea nel senso di circoscrivere l'àmbito dei possibili soggetti rappresentanti, occorre valutarne la legittimità, ammettendo quelle che appaiano ispirate da motivazioni razionali e convincenti, comunque in armonia con la disciplina degli opposti e concomitanti interessi dei condomini nella gestione della cosa comune, e, per converso, escludendo quelle che introducano gravi ed ingiustificate restrizioni all'esercizio di tale diritto, comprimendolo in modo eccessivo ed indiscriminato (Trib. Fermo 4 marzo 1983, il quale ha ritenuto nulla la clausola del regolamento condominiale che, consentendo il conferimento della delega soltanto al coniuge o al parente entro il secondo grado del condomino, introduceva gravi ed ingiustificate limitazioni al concreto esercizio di quel diritto, restringendo in modo eccessivo ed indiscriminato il novero delle persone alle quali il condomino poteva conferire l'incarico di rappresentarlo). Ad esempio, potrebbe considerarsi irrazionale o comunque potrebbe creare seri problemi nel reperimento di un soggetto cui conferire la delega, nei casi in cui questa sia limitata alla persona del coniuge o al fratello, perché in casi frequenti di un single figlio unico si verrebbe sostanzialmente ad espropriare il condomino del diritto di partecipare e votare in assemblea, considerando, peraltro, l'elemento dell'intuitus personae che caratterizza l'affidamento del mandato assembleare, in forza del quale il titolare deve godere di una certa libertà di scegliere il proprio rappresentante tra le persone che egli stima più idonee allo scopo e che non si identificano necessariamente nei parenti più stretti. Parimenti, sarebbero fortemente limitative di tale diritto le clausole che impongano il conferimento della delega ad un condomino (se il delegante è in aperto contrasto con tutti, dovrebbe delegare chi sa essergli contrario), o quelle che vietano la rappresentanza in capo ad un legale (lo scopo di rendere «familiari» le adunanze, evitando formalistiche discussioni, non giustifica la compressione del diritto di poter contare su un'idonea difesa anche in sede assembleare). In questa prospettiva, è intervenuto di recente il Supremo Collegio (Cass. VI/II, n. 8015/2017), il quale ha puntualizzato che la clausola del regolamento di condominio volta a limitare il potere dei condomini di farsi rappresentare nelle assemblee è inderogabile, in quanto posta a presidio della superiore esigenza di garantire l'effettività del dibattito e la concreta collegialità delle assemblee, nell'interesse comune dei partecipanti alla comunione, considerati nel loro complesso e singolarmente, sicché la partecipazione all'assemblea di un rappresentante fornito di un numero di deleghe superiore a quello consentito dal regolamento suddetto, comportando un vizio nel procedimento di formazione della relativa delibera, dà luogo ad un'ipotesi di annullabilità della stessa, senza che possa rilevare il carattere determinante del voto espresso dal delegato per il raggiungimento della maggioranza occorrente per l'approvazione della deliberazione (affermazione, quest'ultima, che desta perplessità, in quanto sembra escludere la possibilità di un'eventuale sanatoria anche allorché la violazione della disposizione regolamentare non abbia, comunque, precluso il conseguimento del relativo quorum approvativo maggioritario). Limite quantitativo Fermi i più stringenti divieti eventualmente contemplati dal regolamento di condominio, il riformato art. 67 disp. att. c.c. introduce due limiti al potere di conferire la delega: uno quantitativo e l'altro soggettivo, anche se tali limiti, per quanto ispirati a condivisibili esigenze, rischiano fortemente di non agevolare l'attività dell'organo gestorio, a causa delle frequenti insufficienze dei quorum costitutivi e deliberativi in seno alle assemblee. Segnatamente, il comma 1, in fondo, stabilisce che, «se i condomini sono più di venti, il delegato non può rappresentare più di un quinto dei condomini e del valore proporzionale», forse per il timore, in situazioni condominiali abbastanza numerose, che si faccia incetta di deleghe (talvolta, l'accaparramento di molte deleghe, anche con false o imprecise indicazioni, di fatto incideva sul voto finale di una determinata deliberazione); entro questi limiti, per così dire, quantitativi, nulla esclude che i delegati possano rappresentare più condomini, a meno che non vi sia un'apposita disposizione del regolamento in senso contrario (di solito, si stabilisce la soglia insuperabile di tre deleghe). La ratio di tale previsione va rinvenuta nell'esigenza, da un lato, di incentivare la personale e diretta partecipazione «attiva» del singolo condomino all'assemblea, confermata, in primis, mediante lo spostamento del baricentro delle maggioranze sempre più verso gli «intervenuti», scoraggiando così la condotta disertiva dei componenti della compagine condominiale e favorendone l'intervento personale; e, dall'altro, di evitare la concentrazione di deleghe in capo ad un soggetto che, benché rappresentativo della volontà dei suoi deleganti, talvolta potrebbe essere portatore soltanto di un suo personale interesse in grado di condizionare fortemente l'esito della votazione, D'altronde, il limite del 20% del numero delle teste e dei millesimi è stato scelto consapevolmente dal legislatore, in quanto, per l'approvazione di qualsiasi deliberazione condominiale, è pur sempre necessaria una doppia maggioranza più elevata; il contingentamento, sul versante oggettivo, del numero delle deleghe se i condomini sono più di venti (comma 1), preclude, pertanto, il formarsi di potenziali situazioni di conflitto di interessi nonché la concentrazione del potere di voto nelle mani di piccole lobbies. Dunque, il delegato non può ricevere un numero di deleghe superiori ad un quinto del complessivo numero delle «teste» di cui si compone l'edificio e che, contestualmente, superino un quinto del valore dell'edificio, ma così si rischia che un condomino, il quale rappresenti, da solo, oltre duecento millesimi in un condominio di quattro partecipanti, verrebbe, di fatto, esautorato della possibilità di delegare (si pensi alla posizione della persona anziana o portatore di handicap che sia impossibilitato a partecipare a tutte le assemblee). Limite soggettivo In precedenza, si era posto il dubbio se l'amministratore del condominio potesse essere destinatario di delega da parti di uno o più condomini. In generale, si rispondeva che l'amministratore potesse essere portatore di deleghe da parte di un condomino, in quanto valevano le regole generali del mandato, nel senso che, a meno che non fosse diversamente disposto, qualsiasi diritto poteva farsi valere a mezzo del mandatario, e ciò valeva anche per l'esercizio del diritto di partecipare all'assemblea e votare in sua vece. A ben vedere, non operava, al riguardo, la preclusione di cui all'art. 2391 c.c., previsto in materia di società per azioni, sanzionata, peraltro, soltanto con la responsabilità dell'amministratore e non con l'invalidità della deliberazione, e, differentemente da quanto disposto per le società per azioni dall'art. 2372, comma 4, c.c., l'inesistenza nel condominio di un ente diverso dalle persone rappresentate avrebbe fatto mancare la contrapposizione di interessi, conseguendone che, non potendosi configurare in astratto un oggettivo conflitto tra l'amministratore ed i singoli condomini, questi potevano affidare a quello la propria rappresentanza in assemblea. Poteva, infatti, sostenersi che la norma che disciplinava tale materia, ossia l'art. 67, comma 1, disp. att. c.c., non poneva alcun limite sotto il profilo soggettivo, permettendo al condomino di conferire a chiunque – e, quindi, anche all'amministratore – la delega a rappresentarlo in assemblea; tale norma, poi, non era suscettibile di essere derogata dal regolamento di condominio in forza del successivo art. 72 disp. att. c.c., mentre, nelle società per azioni, l'atto costitutivo poteva limitare il diritto di rappresentanza del socio o vietare che questi possa farsi rappresentare in assemblea (art. 2372, comma 1, c.c.). Di contro, si opinava che potessero trovare applicazione analogica i divieti contemplati nel sistema per le deliberazioni di gruppi organizzati, che contenevano in qualche modo un giudizio sull'operato degli amministratori, ove gli stessi potevano essere portatori di un interesse proprio in conflitto con quello generale (v., per le associazioni, l'art. 21, comma 1, ultima parte, c.c. secondo cui «nelle deliberazioni di approvazione del bilancio e in quelle che riguardano la loro responsabilità, gli amministratori non hanno voto», nonché, per le società, l'art. 2373, comma 3, c.c. secondo cui «gli amministratori non possono votare nelle deliberazioni riguardanti la loro responsabilità»). In buona sostanza, seguendo quest'ultima tesi, occorreva distinguere a seconda dell'oggetto della deliberazione, ammettendo, di regola, la delega da parte del condomino all'amministratore, ma negando a quest'ultimo il diritto di voto allorché ne sia in discussione l'operato e, in particolare, il rendiconto della sua gestione o la sua riconferma (Cass. II, n. 10683/2002, ad avviso della quale, però, ciò non comportava, di per sé, la non computabilità del voto espresso dall'amministratore per delega di taluno dei condomini in relazione ai predetti argomenti, ma soltanto qualora venisse dedotto e provato che il condomino delegante non era a conoscenza o non era in grado di rendersi conto, con la normale diligenza, della situazione di conflitto). Anche tra i giudici di merito non erano mancate, in proposito, voci discordi. Alcuni avevano ritenuto inapplicabile, nell'àmbito condominiale, l'art. 2373 citato, in quanto norma eccezionale dettata per la disciplina di casi specifici; il comma 3 di tale disposto prevedeva che il socio-amministratore non potesse votare nelle sole deliberazioni riguardanti la sua responsabilità, e non già in quelle di approvazione del bilancio o di nomina degli amministratori; in caso contrario, il socio di maggioranza avrebbe rischiato di essere escluso dalla carica sociale più determinante nella gestione dell'impresa, come quella di amministratore – per la quale, ai sensi dell'art. 2380 c.c., non era prevista alcuna incompatibilità – proprio nei casi in cui era maggiore l'interesse ad amministrare la società in cui aveva investito i suoi capitali (v., di recente, Trib. Roma 15 marzo 2012, secondo cui, qualora l'amministratore in carica sia stato munito di delega c.d. vincolata al voto di conferma dell'amministratore medesimo e, dunque, non agisca nell'esercizio di un potere discrezionale, attenendosi, piuttosto, alla puntuale osservanza della scelta specificamente effettuata «a monte» dal condomino delegante, non può ravvisarsi la sussistenza di un conflitto di interessi tra rappresentante e rappresentato). Si era reputato, infatti, difficile configurare un conflitto di interessi tra la società ed il socio-amministratore nell'approvazione del bilancio o nell'elezione di cariche sociali, atteso che il primo atto non liberava da responsabilità l'amministratore e non precludeva l'impugnativa, ed il secondo, in sé e per sé, non era produttivo di alcun danno nei confronti della società; si era contestata, inoltre, la possibilità di configurare un conflitto di interessi tra rappresentante e condominio, poiché l'art. 1394 c.c. si riferiva solo ad ipotesi di conflitto reale, mentre, nella specie, il conflitto sarebbe stato soltanto virtuale, stante che l'amministratore avrebbe potuto svolgere correttamente la gestione e, approvando il suo rendiconto, avrebbe potuto perseguire gli interessi della collettività. Altri, invece, avevano ritenuto applicabile analogicamente l'art. 2373 c.c., che prevede l'impugnabilità della relativa deliberazione, previo esperimento della c.d. prova di resistenza (Trib. Barcellona Pozzo di Gotto 5 dicembre 1994; Trib. Milano 14 luglio 1988; in particolare, v. Trib. Reggio Calabria 23 marzo 1984, che ha considerato valida la clausola che vietava la delega all'amministratore, giustificata per l'opportunità di «assicurare un più efficace e limpido funzionamento dell'assemblea»); invero, il conflitto era certamente presente, nelle materie relative alla discussione ed approvazione del bilancio consuntivo e la nomina o riconferma dell'amministratore medesimo, per cui, ove l'amministratore rappresentasse per delega la maggioranza dei presenti all'assemblea, le deliberazioni assunte erano annullabili, perché in tal caso non vi era stata la possibilità di un concreto dibattito su argomenti rispetto ai quali l'amministratore stesso avrebbe potuto avere un interesse personale in contrasto con quello del condominio. Orbene, in questo acceso dibattito giurisprudenziale, la Riforma del 2013 è intervenuta con una soluzione tranchant, secondo la quale all'amministratore non possono essere conferite deleghe per la partecipazione «a qualunque assemblea», come espressamente prescritto ora dall'art. 67, comma 5, disp. att. c.c. ., il che non dovrebbe escludere la possibilità di conferire la delega, per esempio, alla moglie dell'amministratore, ad un collaboratore o ad un dipendente di quest'ultimo, anche se una recente pronuncia di merito (Trib. Pordenone ,1 marzo 2018) ha annullato una delibera assembleare, avente ad oggetto l’approvazione del rendiconto e del riparto del preventivo/consuntivo nonché la conferma dell’amministratore, perché adottata con il voto decisivo di alcuni condomini che avevano conferito le deleghe al presidente e al vice-presidente della società a responsabilità limitata incaricata dell’amministrazione del condominio. In quest'ottica, si è preferito ritenere che fosse illegittimo tout court il conferimento all'amministratore, da parte del condomino, della delega a rappresentarlo in assemblea anche qualora non si discuti e si voti su argomenti che involgono la carica (nomina, riconferma o revoca) e la condotta del predetto mandatario (come, ad esempio, l'approvazione del conto della gestione ex art. 1135, n. 3, c.c., che, altrimenti, potrebbe considerarsi valida se ha ottenuto il solo voto dell'amministratore, per assurdo, delegato da tutti i condomini). In quest'ottica, il divieto de quo si ispira alla necessità di assicurare un più efficace e limpido funzionamento dell'organo gestorio, specie se l'assemblea debba deliberare sull'operato dell'amministratore stesso, potendo quest'ultimo trovarsi in una situazione conflittuale, poiché tentato di far prevalere il suo personale interesse, valendosi, per la votazione, delle deleghe ricevute dai condomini, che probabilmente non le avrebbero rilasciate se avessero conosciuto come stavano realmente le cose (per la necessità di una verifica caso per caso, v. Cass. II, n. 22234/2004, secondo la quale, in caso di conflitto di interessi fra un condomino ed il condominio, qualora il condomino confliggente sia stato delegato da altro condomino ad esprimere il voto in assemblea, la situazione di conflitto che lo riguarda non è estensibile aprioristicamente al rappresentato, ma soltanto allorché si accerti in concreto che il delegante non era a conoscenza di tale situazione, dovendosi, in caso contrario, presumere che il delegante, nel conferire il mandato, abbia valutato anche il proprio interesse – non personale ma quale componente della collettività – e l'abbia ritenuto conforme a quello portato dal delegato). Del resto, quanto ora prescritto può reputarsi applicazione di un principio generale nemo iudex in causa propria, per il quale il controllato – l'amministratore – non può essere contemporaneamente, per effetto della delega del condomino, controllore di se stesso (anche se problemi potrebbero sorgere qualora l'amministratore sia anche lui stesso condomino e, in tale veste, destinatario di deleghe). Tale soluzione può, tuttavia, prestare il fianco a qualche critica, atteso che anche il rendiconto della gestione dell'amministratore è un argomento che deve risultare dall'ordine del giorno, per cui il condomino, che conferisce la delega all'amministratore senza alcuna limitazione, sa perfettamente che la stessa comporta anche l'approvazione dell'attività da lui svolta e, con il fatto stesso di conferirgli la delega, gli manifesta nuovamente e chiaramente tutta la sua fiducia (l'amministratore, di regola, dovrebbe essere la persona che gode di maggior fiducia tra i condomini). Questo modo di procedere all'approvazione del rendiconto potrebbe considerarsi scorretto nel caso in cui l'amministratore tentasse di coprire o sanare talune sue manchevolezze o malefatte; tuttavia, se la gestione risulta ordinata e lineare, non si vede perché il condomino, che intenda approvarla consapevolmente, debba conferire la delega ad un terzo, mentre qualora, invece, la gestione non fosse oculata ed ineccepibile, e l'amministratore fosse colpevole di qualche abuso, i condomini che ne avessero subìto un pregiudizio, potrebbero pur sempre impugnare la deliberazione di approvazione del rendiconto, o comunque ricorrere al giudice per il relativo risarcimento. Per completezza, va sottolineato che la partecipazione all'assemblea di un condomino fornito in un numero di deleghe superiore a quello consentito dal regolamento di condominio, oppure in contravvenzione ad un altro limite al conferimento o divieto imposto ora dalla legge, comporta la mera annullabilità della deliberazione adottata, impugnabile nel termine di decadenza contemplato nell'art. 1137, comma 2, c.c. (v., tra le tante, Cass. II, n. 7402/1986, puntualizzando che trattasi di un vizio nel procedimento di formazione della relativa deliberazione, che non dà luogo ad un'ipotesi di nullità assoluta della deliberazione stessa). Ad ogni buon conto, resta inteso che la partecipazione ad un'assemblea condominiale di un soggetto estraneo o privo di legittimazione non si riflette sulla validità della sua costituzione e delle decisioni in tale sede assunte, sempre che tale partecipazione non abbia influito sulla maggioranza richiesta e sul quorum prescritto, né sullo svolgimento della discussione e sull'esito della votazione (v., di recente, Cass. II, n. 28763/2017). Appartamento in comproprietàIl nuovo testo del comma 2 dell'art. 67 disp. att. c.c. prevede che, nell'ipotesi in cui un'unità immobiliare appartenga in proprietà indivisa a più persone, queste ultime hanno diritto ad un solo rappresentante nell'assemblea, che deve essere designato dai comproprietari interessati a norma dell'art. 1106 c.c.: quindi, tutti i comproprietari (due o più persone) hanno diritto di essere informati della riunione condominiale, sicché a tutti deve essere inviato l'avviso di convocazione. Quindi, è scomparsa, rispetto al testo previgente, l'aggiunta secondo cui «in mancanza provvede per sorteggio il presidente» dell'assemblea – che, quantomeno, presupponeva la presenza di tutti i comproprietari al momento della riunione, con una modalità sicuramente sommaria ma rapida e risolutiva – per cui, attualmente, in caso di contrasti tra i comproprietari, il rappresentante deve essere eletto a maggioranza all'interno della comunione ed il possibile conflitto può superarsi dal giudice in sede di volontaria giurisdizione. Nell'ipotesi «fisiologica», resta aperto, però, il problema di verificare come il comproprietario designato possa farsi «accreditare» presso l'assise assembleare, potendo il relativo presidente pretendere la formale designazione di cui all'art. 1106 c.c., ossia da adottarsi in via deliberativa e con le maggioranze ivi contemplate (risultando troppo restrittiva l'interpretazione secondo la quale il richiamo a tale norma operi soltanto per le decisioni ivi richiamate, ossia per la formazione del regolamento e per la nomina dell'amministratore); peraltro, vigendo per la comunione il principio, enucleabile dall'art. 1105 c.c., dei pari poteri gestori da parte di tutti i comproprietari, potrebbe presumersi che ognuno di essi operi con il consenso degli altri, sicché potrebbe essere sufficiente anche un atto informale, cioè non consistente necessariamente in una deliberazione assembleare, purché sorretto dalla manifestazione di volontà della maggioranza delle quote della comunione. D'altronde, riesce difficile immaginare come il presidente possa risolvere il contrasto al momento della riunione condominiale, qualora si manifesta alla presenza dei comunisti o di alcuni di essi, e se possa sbrigativamente risolverlo facendo esprimere ai condomini presenti, lì per lì, una designazione almeno maggioritaria (Moscatelli-Correale, 189, i quali, eliminato il sorteggio, ove in concreto non si riesca a pervenire a convincenti soluzioni del contrasto o anche solo a sopperire alla mancanza o al difetto di forma della suddetta designazione, non vedono altra soluzione al deficit che quella dell'esclusione dal voto). Resta il fatto che la soluzione «interna» comporta che la volontà dei comproprietari si manifesti con un solo voto, rappresentante il gruppo, in quanto riferibile all'unità immobiliare oggetto di comunione, e con effetti vincolanti nei confronti degli altri proprietari pro indiviso. In pratica, ai fini del calcolo delle maggioranze numeriche, tutti i comproprietari contano per uno o, detto in altri termini, di fronte all'assemblea, rileva solo una «testa» che rappresenta i millesimi relativi alla comproprietà (senza aumento del numero dei partecipanti o diminuzione dei millesimi); la volontà dei comproprietari, dunque, si manifesta con un solo voto, rappresentante il gruppo, in quanto riferibile all'unità immobiliare oggetto di comunione, e con effetti vincolanti nei confronti degli altri proprietari pro indiviso; gli eventuali contrasti tra comproprietari sull'assemblea condominiale vanno risolti all'interno del gruppo, di modo che la volontà del rappresentante valga, quale espressione irretrattabile della volontà comune, per tutti, cioè anche per i comproprietari dissenzienti della minoranza (Cass. II, n. 590/1980; Cass. II, n. 244/1974; di recente, Cass. II, n. 14584/2017, ha opinato, in maniera discutibile, che sia sufficiente la designazione del rappresentante a mera maggioranza anche se la deliberazione da adottare abbia una valenza contrattuale). Resta, quindi, sempre salva la possibilità di far valere pretese risarcitorie nei confronti del designato qualora quest'ultimo non abbia osservato le direttive impartitegli, sempre che i danni economici siano concreti e dimostrabili (Tortorici, 2013, 37). La soluzione «esterna», invece, auspicabile qualora nella comunione si registrino quote identiche non conciliabili, comporta immaginabili ritardi nell'operatività di tale meccanismo di nomina, propedeutico al funzionamento dell'assemblea condominiale (si pensi all'ipotesi in cui l'appartamento risulti in comproprietà a coniugi separati o divorziati, che ancora non abbiano raggiunto alcuna intesa tra loro). Nell'ipotesi, invece, in cui una stessa persona sia proprietaria di più unità immobiliari, il numero delle quote di partecipazione al condominio non attribuisce mai al singolo condomino una pluralità di voti nell'assemblea in quanto la stessa partecipazione va computata pur sempre come singola e personale, per cui il suddetto condomino non potrà eccepire di essere stato convocato soltanto come proprietario di alcune unità immobiliari, e non anche come proprietario di altre, perché egli è comunque venuto a conoscenza del giorno, dell'ora e del luogo fissati per la riunione condominiale. Dunque, tutti i comproprietari – due o più persone – hanno diritto di essere informati della riunione condominiale, sicché a tutti deve essere inviato l'avviso di convocazione, non essendo applicabile per analogia l'art. 2347 c.c., che statuisce, in caso di comproprietà di un'azione, la sufficienza della comunicazione ad un solo comproprietario per essere efficace nei confronti di tutti. Si è, al riguardo, puntualizzato che il citato art. 67 non autorizza a ritenere che, per la valida costituzione dell'assemblea, sia sufficiente la convocazione di uno solo dei comproprietari pro indiviso, essendo, invece, necessario che essi siano tutti avvertiti al fine di indicare quali di essi li rappresenterà in assemblea (Cass. II, n. 7630/1990). In quest'ordine di concetti, qualora un'unità immobiliare sia in comunione a due o più persone, l'avviso di convocazione non può essere indirizzato al solo rappresentante eventualmente designato, né essere collettivamente intestato e notificato al gruppo dei comunisti abilitati a nominare un solo rappresentante comune; del resto, per dar modo ai proprietari interessati di provvedere alla nomina di un rappresentante comune, è necessario che tutti i comproprietari siano stati informati della riunione e, quindi, siano stati posti nelle condizioni di potersi accordare circa la nomina di un loro rappresentante. Per completezza sull'argomento, va segnalato che, nel condominio c.d. minimo — formato, cioè, da due partecipanti con diritti di comproprietà paritari sui beni comuni — le regole codicistiche sul funzionamento dell'assemblea si applicano allorché quest'ultima si costituisca regolarmente con la partecipazione di entrambi i condomini e deliberi validamente con decisione “unanime”, tale dovendosi intendere quella che sia frutto della partecipazione di ambedue i comproprietari; ove, invece, non si raggiunga l'unanimità, o perché l'assemblea, in presenza di entrambi i condomini, decida in modo contrastante, oppure perché, come nella specie, alla riunione — benché regolarmente convocata — si presenti uno solo dei partecipanti e l'altro resti assente, è necessario adire l'autorità giudiziaria, ai sensi degli artt. 1105 e 1139 c.c., non potendosi ricorrere al criterio maggioritario (Cass. II, n. 5329/2017). Rapporto di coniugio e parentelaNel caso di coniugi conviventi, comproprietari dell'appartamento sito in condominio, si è posto il problema se fosse possibile inviare l'avviso di convocazione dell'assemblea ad uno solo di essi. La giurisprudenza, in termini generali, ha affermato che, affinché uno dei comproprietari pro indiviso di un'unità immobiliare possa ritenersi ritualmente convocato a partecipare all'assemblea del condominio, nonché validamente rappresentato nella medesima, riguardo ad affari di ordinaria amministrazione, dall'altro comproprietario della stessa unità immobiliare, non si richiedano particolari formalità, essendo sufficiente che risulti provato, anche per presunzioni – sempre che le circostanze siano gravi, precise e concordanti – che il primo dei predetti comproprietari abbia ricevuto effettiva notizia della convocazione dell'assemblea, ed abbia conferito, sia pure verbalmente, il potere di rappresentanza all'altro (v., ex multis, Cass. II, n. 1830/2000; Cass. II, n. 8116/1999; Cass. II, n. 138/1998; Cass. II, n. 12119/1992; tra le pronunce di merito, si segnalano: Giud. pace Pordenone 10 giugno 1996, e Trib. Napoli 24 febbraio 1979, il quale, sul presupposto che la legge non prescrive particolari modalità per la convocazione, ha considerato valido l'invito rivolto a due compartecipi, sia pure con unico biglietto). Nell'ipotesi particolare in cui, dei comproprietari di una singola unità immobiliare, uno solo sia presente all'assemblea, quando non sia contestato o possa comunque ritenersi provato che tutti siano stati idoneamente convocati per averne ricevuta notizia al pari del comproprietario presente, è legittimo presumere – specie ove trattasi di soggetti legati da vincoli di parentela e, in ogni caso, ove non siano noti contrasti di interessi tra loro – che il comproprietario presente legittimamente rappresenti anche quelli assenti. La fattispecie più frequente, a parte quella dei fratelli conviventi, è appunto quella dei coniugi comproprietari di un appartamento, in regime di comunione legale – che costituisce la regola, e non più l'eccezione a seguito della l. 19 maggio 1975, n. 151 – e, quindi, titolari in una quota di egual misura dell'unità immobiliare: trovando applicazione l'art. 67 disp. att. c.c., entrambi avranno diritto ad essere informati della riunione, ma potranno avere un solo rappresentante in assemblea, il quale esprimerà con un unico voto la volontà del nucleo familiare (Triola, 1993, 715; Ramella, 19). Se gli stessi sono conviventi in pieno accordo e senza contrasto di interessi tra loro, si può presumere che l'invito comunicato ad uno di essi, presso l'abitazione comune, sia portato a conoscenza anche dell'altro e che l'uno rappresenti anche l'altro nella riunione condominiale (v., in termini, Cass. II, n. 1206/1996; Cass. II, n. 3231/1984, secondo cui tale principio non pone la citata norma in contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., in quanto essa, in un sistema di libertà di mezzi per la notizia della convocazione dell'assemblea, non introduce alcuna discriminazione in danno dei comproprietari della stessa unità immobiliare). Qualora, invece, sussista una situazione di separazione (legale o consensuale), con conseguente fissazione di differente residenza dei due coniugi, sia il marito che la moglie avranno diritto a ricevere l'avviso di convocazione, previa comunicazione all'amministrazione del nuovo indirizzo: in questo caso, la mancanza di una convivenza non legittima l'opinione che gli argomenti abbiano formato oggetto di reciproca informazione e siano stati discussi tra i comproprietari (Trib. Milano 18 ottobre 1993). In proposito, si presuppone che l'amministratore sia reso edotto del vincolo di comunione che lega i soggetti che accampano il diritto di partecipare all'assemblea, per cui, nell'ipotesi in cui i comproprietari dell'unità immobiliare risiedano in luoghi differenti e di questo l'amministratore sia a conoscenza, quest'ultimo è tenuto ad inviare a ciascuno separatamente l'avviso di convocazione. Sul versante contributivo, si è opportunamente precisato (Cass. II, n. 21907/2011) che i comproprietari di un'unità immobiliare sita in condominio – regolarmente convocati secondo quanto sopra delineato – sono tenuti in solido, nei confronti del condominio medesimo, al pagamento degli oneri condominiali, sia perché detto obbligo di contribuzione grava sui contitolari del piano o della porzione di piano inteso come cosa unica e i comunisti stessi rappresentano, nei confronti del condominio, un insieme, sia in virtù del principio generale dettato dall'art. 1294 c.c. (secondo il quale, nel caso di pluralità di debitori, la solidarietà si presume), alla cui applicabilità non è di ostacolo la circostanza che le quote dell'unità immobiliare siano pervenute ai comproprietari in forza di titoli diversi (nella specie, si era chiarito che il principio espresso non si pone in contrasto con quello già enunciato da Cass.S.U., n. 9148/2008, riguardando quest'ultima pronuncia la diversa problematica delle obbligazioni contratte dal rappresentante del condominio verso i terzi e non la questione relativa al se le obbligazioni dei comproprietari inerenti le spese condominiali ricadano o meno nella disciplina del condebito ad attuazione solidale). SupercondominioFormazione dell'assemblea Va, innanzitutto, premesso che, ai fini della costituzione di un supercondominio, non è necessaria né la manifestazione di volontà dell'originario costruttore, né quella di tutti i proprietari delle unità immobiliari di ciascun condominio, essendo sufficiente che i singoli edifici abbiano, materialmente, in comune alcuni beni, impianti o servizi, ricompresi nell'àmbito di applicazione dell'art. 1117 c.c., in quanto collegati da un vincolo di accessorietà necessaria a ciascuno degli stabili, spettando di conseguenza, a ciascuno dei condomini dei singoli fabbricati, la titolarità pro quota su tali parti comuni e l'obbligo di corrispondere i relativi oneri condominiali (Corona, 493; Ditta, 860). In altri termini, al pari del condominio negli edifici, regolato dagli artt. 1117 ss. c.c., anche il supercondominio viene in essere ipso iure et facto, se il titolo non dispone altrimenti, senza bisogno di apposite manifestazioni di volontà o altre esternazioni e tanto meno di approvazioni assembleari, sol che i singoli edifici, costituiti in altrettanti condominii, abbiano in comune talune cose, impianti e servizi legati, attraverso la relazione di accessorio e principale, con gli edifici medesimi (giurisprudenza consolidata, v., di recente, Cass. II, n. 19939/2012; Cass. II, n. 17332/2011). Premesso ciò, atteso che il supercondominio è rappresentato dall'insieme dei beni, impianti o servizi che sono comuni a più edifici, a loro volta costituiti in condominii autonomi, lo stesso non può risolversi in un condominio di condominii, in quanto i soggetti che fanno parte sono pur sempre i singoli proprietari delle unità immobiliari, e non i distinti edifici, anche se costituiti in condominii autonomi (Varrone, 2563; Paura, 670; Torroni, 385; Nicolini, 1988). L'osservazione che precede comporta – per quel che qui rileva – che l'assemblea del c.d. supercondominio dovrebbe essere composta dai comproprietari degli edifici e non dai singoli amministratori di essi (v., da ultimo, Cass. II, n. 4340/2013). In questa prospettiva, nel sistema ante Riforma, sul presupposto che non fossero derogabili dal regolamento di condominio, anche se di natura contrattuale, le norme concernenti la composizione ed il funzionamento dell'assemblea, è stata ripetutamente considerata nulla, per contrarietà a norme imperative (artt. 1136 e 1138 c.c.), la clausola del regolamento contrattuale la quale prevedeva che l'assemblea di un supercondominio fosse composta dagli amministratori dei singoli condominii, anziché da tutti i comproprietari degli edifici che lo componevano (v., tra le altre, Cass. II, n. 15476/2001; Cass. II, n. 5333/1997; Cass. II, n. 7286/1996; Cass. II, n. 7894/1994; tra le pronunce di merito, si segnalavano Trib. Napoli 15 ottobre 1996, e Trib. Venezia 14 ottobre 1996; cui adde Trib. Roma 15 settembre 2004, ad avviso del quale tale clausola ledeva il diritto del singolo condomino, sancito dall'art. 1136 c.c., di partecipare personalmente all'assemblea, e così alterava la natura delle facoltà e dei poteri, inerenti alla partecipazione all'organo collegiale, che tutelavano le minoranze e che non potevano essere rinunciati neppure dagli interessati). Poiché esprimere il voto e concorrere a decidere in merito alla gestione delle cose, degli impianti e dei servizi comuni, raffigurava una facoltà del diritto di condominio, che l'art. 1138, ultimo comma, c.c. considerava inderogabile, all'assemblea del supercondominio avevano diritto di partecipare «tutti» i proprietari delle unità immobiliari; pertanto, le disposizioni dettate dall'art. 1136 c.c. in tema di convocazione, di costituzione, di formazione e di calcolo delle maggioranze si applicavano avuto riguardo agli elementi reale e personale del supercondominio, rispettivamente configurati da tutte le unità abitative comprese nel complesso e da tutti i proprietari (Natali 2006, 251; Santersiere 2003, 215). Pertanto, nel sistema anteriore alla l. n. 220/2012 (Bordolli 2012, 485), l'assemblea del supercondominio doveva essere composta da tutti i partecipanti dei singoli condominii, e ciascun partecipante aveva diritto di intervenire alla riunione, di esprimere l'assenso o il dissenso sugli argomenti all'ordine del giorno, e di votare in proporzione alla sua quota. Attualmente, il novellato art. 67 disp. att. c.c. ha regolamentato, in senso fortemente innovativo, il funzionamento dell'assemblea del supercondominio: più nel dettaglio, il comma 3 prevede che, nei casi di cui all'art. 1117-bis c.c. – al cui commento si rinvia – quando i partecipanti risultino complessivamente più di sessanta, ciascun condominio deve designare, con la maggioranza di cui all'art. 1136, comma 5, c.c., «il proprio rappresentante all'assemblea» per la gestione ordinaria delle parti comuni a più condominii e per la nomina dell'amministratore. Il riferimento operato al disposto dell'art. 1117-bis c.c. richiama il fenomeno che oggi viene chiamato «supercondominio», che il legislatore evita di definire – del resto, la rubrica di tale articolo si intitola «àmbito di applicabilità» – limitandosi a stabilire che «le disposizioni del presente capo», ossia quelle del capo II del titolo VII del libro III del codice civile dedicato al condominio negli edifici, «si applicano, in quanto compatibili, in tutti i casi in cui più unità immobiliari o più edifici ovvero più condominii di unità immobiliari o di edifici abbiano parti comuni ai sensi dell'articolo 1117» del codice civile (con tutta probabilità, il legislatore, anche utilizzando una formulazione alquanto farraginosa, aveva a mente sia l'ipotesi di fabbricati che si estendessero non solo in senso verticale, sia le costruzioni adiacenti orizzontalmente, come ad esempio le c.d. villette a schiera). Curiosamente, la norma parla di «partecipanti» e non di condomini – come invece fanno, sempre per indicare altre soglie legali, gli artt. 1129, comma 1, c.c. per la nomina dell'amministratore, e 1138, comma 1, c.c. per il regolamento di condominio – ma sembra chiaro il riferimento alle c.d. teste (Del Chicca, 407), ossia ai proprietari di unità immobiliari, a prescindere dalla titolarità in capo a questi ultimi (v. anche gli artt. 1118,1131 e 1136 c.c.). Abbiamo sopra sottolineato che, come per il condominio, anche per il supercondominio l'assemblea rappresenta l'organo sovrano di questa organizzazione ed è costituita dall'insieme dei condomini, sicché le deliberazioni dovrebbero assumersi con la partecipazione alla riunione collegiale di tutti i partecipanti delle unità immobiliari facenti parte del complesso e, in particolare, con le disposizioni di cui all'art. 1136 c.c. che, in tema di calcolo delle maggioranze, ha riguardo agli elementi reali e personali, configurati, rispettivamente, dalle unità abitative comprese nel medesimo complesso e dai proprietari. Parimenti, si è evidenziato che la giurisprudenza, fino ad ora, era stata concorde nel ritenere che non si potesse sostituire l'assemblea del supercondominio con il «collegio degli amministratori» dei condominii separati, perché non era permesso sovrapporre i due organismi, stante l'inderogabilità, anche da parte dei regolamenti contrattuali, delle norme che li contemplavano e ne prevedevano la composizione ed il funzionamento. Orbene, la prima parte dell'art. 67, comma 3, disp. att. c.c. stabilisce, invece, che vi è l'obbligo (e non la mera possibilità) di nominare un rappresentante all'assemblea del supercondominio: ciò si evince dal fatto che, sempre che si superi la suddetta soglia, il disposto usa l'espressione ciascun condominio «deve designare» (e non «può»), tanto che, in mancanza di tale nomina, «ciascun partecipante può chiedere che l'autorità giudiziaria nomini il rappresentante del proprio condominio», in sede di volontaria giurisdizione – analogamente alla nomina giudiziale dell'amministratore ex art. 1129, comma 1, c.c., qualora «i condomini sono più di otto» – augurandosi una designazione in tempi rapidi (in quest'ottica, si segnala che l'eventuale integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti i condomini – sostenuta da alcuni tribunali italiani – renderebbe inoperante, di fatto, tale meccanismo di nomina, stante l'elevato numero dei soggetti interessati e, quindi, le elevate spese da sostenere per le relative notifiche). In tal modo, si istituzionalizza la figura del «rappresentante» del singolo condominio all'assemblea del supercondominio (in pratica, l'edificio in condominio viene considerato un unicum, alla pari di un'unità immobiliare in proprietà indivisa); tale opzione legislativa sicuramente è stata suggerita dalle necessità della pratica, che aveva registrato indiscutibili difficoltà di riunire insieme i numerosi partecipanti in assemblee affollatissime ed ingovernabili – tenute addirittura in teatri o sale cinematografiche – per non parlare, poi, della difficoltà del formarsi dei quorum previsti dalla legge per le varie deliberazioni (in un condominio complesso di 1.000 condomini, è impresa ardua disporre, sia pur con le deleghe, di 340 persone che vengano all'assemblea); infatti, spesso i partecipanti al supercondominio sono estremamente numerosi, sì da rendere praticamente impossibile l'iter assembleare dalla fase della riunione sino a quella della deliberazione, vanificando, altresì, la possibilità che i singoli possano in concreto rappresentare e tutelare i propri interessi all'interno dell'organismo collettivo. Nulla esclude, però, che, dal concetto di un'assemblea di supercondominio estremamente numerosa, si possa passare attualmente ad una riunione fortemente ridotta, ossia costituita dai soli rappresentanti dei singoli condominii, che potrebbero essere di numero esiguo, addirittura inferiore a tre – numero necessario per il funzionamento di qualsiasi collegio, secondo il noto brocardo latino tres, non duo, faciunt collegium – sicché, in questi casi di «supercondominio minimo», il momento deliberativo necessiterebbe dell'unanimità dei consensi. Comunque, il quorum per la nomina del rappresentante risulta abbastanza elevato e non agevolmente raggiungibile, con il rischio di registrare possibili impugnazioni nei confronti di deliberazioni del singolo condominio che non raggiungano la maggioranza dei due terzi; configurandosi, però, un vizio di mera annullabilità, il rappresentante, pur invalidamente nominato, potrebbe attendere lo spirare dei termini di trenta giorni per la relativa impugnazione prima di partecipare all'assemblea del supercondominio, sempre che la riunione si svolga oltre lo scadere del termine di cui all'art. 1137, comma 2, c.c. Resta inteso che, nella nuova prospettiva, all'assemblea del supercondominio si debbano convocare soltanto i rappresentanti dei condominii singoli; ovviamente, il preavviso ordinario di cinque giorni contemplato per la comunicazione della convocazione della riunione «ridotta» deve tenere ora conto delle tempistiche che richiedono al condominio singolo di dotarsi del proprio rappresentante (preferibilmente in pianta stabile, in modo da non essere costretti ogni volta ad innescare la procedura di nomina, assembleare o giudiziaria, del rappresentante, v. appresso). Si prevede, poi, la possibilità – purché i partecipanti al supercondominio siano complessivamente più di sessanta – che, a fronte di alcuni condominii puntuali in tale adempimento, gli altri condominii interessati non abbiano nominato il proprio rappresentante, stabilendo che «l'autorità giudiziaria provvede alla nomina su ricorso anche di uno solo dei rappresentanti già nominati, previa diffida a provvedervi entro un congruo termine», e aggiungendo che «la diffida ed il ricorso all'autorità giudiziaria sono notificati al condominio cui si riferiscono in persona dell'amministratore o, in mancanza, a tutti i condomini». Segnatamente, la diffida sembra appannaggio del rappresentante del condominio singolo, mentre la notifica riguarda unicamente il ricorso al magistrato; anche in queste ipotesi, è ragionevolmente ipotizzabile il ricorso al procedimento in camera di consiglio di cui agli artt. 737 ss. c.p.c., disponendosi l'esclusione della fattispecie processuale di cui all'art. 102 c.p.c., ma, ragionando a contrario, l'estensione del contraddittorio appare richiesta per tutte le altre ipotesi, ossia qualora non sussista il supercondominio, quando quest'ultimo sia composto da sessanta o meno partecipanti, o se l'iniziativa sollecitatoria sia assunta dal condomino e non dal rappresentante del condominio singolo. Ovviamente, qualora nessuno dei condominii singoli abbia provveduto a nominare il proprio rappresentante, per il funzionamento del meccanismo di cui sopra è necessario che almeno uno dei condominii si attivi in tal senso, su iniziativa di un condomino – come prevede la prima parte del comma 3 dell'art. 67 disp. att. c.c. – e, poi, il rappresentante nominato si faccia parte diligente assumendosi l'incarico di far nominare gli altri rappresentanti dei condominii renitenti. In conclusione, come di recente puntualizzato dal Supremo Collegio (Cass. II, n. 2406/2024), all'assemblea del supercondominio partecipano tutti i condomini, o i loro rappresentanti ai sensi dell'art. 67, comma 3, disp. att. c.c., e le maggioranze per la costituzione del collegio e per la validità delle deliberazioni, che sono immediatamente obbligatorie per gli stessi condòmini, si calcolano in relazione al numero degli aventi diritto e al valore dell'intero complesso di unità immobiliari, edifici o condomìni aventi quella o quelle parti comuni in discussione, avendo riguardo sotto il profilo dell'elemento personale al numero dei contitolari (che devono essere convocati personalmente o tramite il rappresentante designato) e sotto il profilo reale al valore proporzionale di ciascuna unità immobiliare (ove si tratti di assemblea dei proprietari) o al valore proporzionale di ciascun condominio (ove si tratti di assemblea dei rappresentanti, ex art. 67, comma 3, disp. att. c.c.). Poteri del rappresentante Circa le modalità operative di tale designazione, si premette che «ogni limite o condizione al potere di rappresentanza si considera non apposto» e che «il rappresentante risponde con le regole del mandato»: la previsione sembra contraddittoria, ma si rivela in linea con i principi dettati in materia di delega assembleare, nel senso che, qualora i condomini abbiano disposto alcune direttive al rappresentante in ordine alle deliberazioni da assumere, il secondo non dovrebbe discostarsi dalle stesse, ma il tutto sarà circoscritto nei meri rapporti interni, ossia il condominio singolo si troverà vincolato dal voto del proprio rappresentante, il quale sarà eventualmente responsabile degli eventuali danni che la statuizione abbia arrecato ai primi. Purché trattasi di affari attinenti alla gestione ordinaria delle parti comuni a più condominii ed alla nomina dell'amministratore, si precisa che il rappresentante «comunica tempestivamente all'amministratore di ciascun condominio l'ordine del giorno e le decisioni assunte dall'assemblea dei rappresentanti dei condominii» e, a sua volta, «l'amministratore riferisce in assemblea» (ove si opti per ritenere che la carica di rappresentante possa essere ricoperta anche dall'amministratore – v. appresso – quest'ultimo dovrebbe riferire direttamente all'assemblea dei suoi rappresentati). La previsione normativa non si presenta di agevole lettura, perché fa riferimento ad incombenti cronologicamente distinti. In pratica, prima, l'amministratore del condominio singolo convocherà una riunione con all'ordine del giorno gli stessi argomenti che saranno discussi nell'assemblea del supercondominio, poi, l'assemblea del condominio nominerà il rappresentante comune con una sorta di delega in bianco (Voi, 10), e, infine, il rappresentante comunicherà al suddetto amministratore l'esito dell'assemblea del supercondominio, con onere di quest'ultimo, a sua volta, di riferire all'assemblea del suo condominio. Si potrebbe ipotizzare che, proprio per il fatto che le materie in cui opera il summenzionato meccanismo sono alquanto circoscritte, la designazione del rappresentante abbia un'efficacia annuale, nel senso che quest'ultimo sarà tenuto solo a comunicare l'ordine del giorno e le decisioni già «assunte» nell'assemblea del supercondominio all'amministratore del condominio singolo, senza, quindi, l'onere, in capo a tale amministratore, di convocare, volta per volta, l'assemblea per decidere su di esse (in pratica, il primo «comunica tempestivamente» a cose fatte e il secondo si limita a «riferire» alla prima assemblea utile). L'attività di tale rappresentante dovrebbe essere gratuita, il che comporterebbe alcune difficoltà nella scelta da parte dell'autorità giudiziaria (che potrebbe cadere anche su un soggetto estraneo alla compagine condominiale), salvo preferire l'amministratore, in quanto persona naturalmente più idonea, poiché a ben vedere, per tutto il resto, opera già come rappresentante del condominio e, comunque, rimane il soggetto maggiormente a conoscenza delle dinamiche condominiali; non sembra che, nei suoi confronti, possa applicarsi il diverso principio che preclude la delega assembleare nominativa di cui al comma 5 dell'art. 67 disp. att. c.c. – v. supra – fermo restando che lo stesso amministratore potrebbe, al momento dell'accettazione dell'incarico, pattuire con i condomini, ai sensi dell'art. 1129, comma 14, c.c., un particolare compenso per tale partecipazione (la cui specificazione, oggi, al momento dell'accettazione dell'incarico è prevista a pena di «nullità»). In tal modo, la Riforma impone che il summenzionato rappresentante possa rappresentare «tutto» il condominio con quel mandato che la maggioranza assembleare – sia pure qualificata, però non necessariamente l'unanimità dei partecipanti – gli ha conferito, indipendentemente dalla proporzione del valore che il singolo edificio ha riguardo alle parti comuni del complesso (qualcosa di analogo succede per le unità immobiliari in comproprietà di cui all'art. 67, comma 2, disp. att. c.c.). In tal modo, si esclude che i titolari dei diritti condominiali possano partecipare, personalmente o con un proprio delegato, all'assemblea del supercondominio, alla quale ora partecipano soltanto i rappresentanti designati da ogni singolo condominio; e delicati problemi potrebbero sorgere riguardo all'impugnazione, atteso che la rappresentanza conferita a maggioranza all'amministratore dovrebbe vincolare anche gli assenti o i dissenzienti, privandoli della possibilità di opporsi alle decisioni adottate (in senso critico, Cirla, 32; Cintio, 546). Inoltre, la maggioranza espressa nell'assemblea del supercondominio, formata dai rappresentanti dei singoli condominii, potrebbe non corrispondere alla maggioranza dei partecipanti, specie qualora il supercondominio sia composto da edifici di diversa grandezza (il comma 3 del citato art. 67 disp. att. c.c., prescrivendo che «ciascun condominio deve designare ... il proprio rappresentante», sembra prescindere, però, del valore del voto che tale rappresentante esprimerà all'assemblea del supercondominio). Ma anche ipotizzando edifici di eguale grandezza, il voto favorevole che esce dalla riunione del supercondominio potrebbe non esprimere quello della maggioranza dei partecipanti: si pensi al caso di un supercondominio composto da tre condominii, ciascuno dei quali con 100 partecipanti, per un totale di 300 (supponiamo, per semplicità, titolari di pari quote pari a 10/1000); ipotizzando una convocazione preventiva delle assemblee dei tre condominii, nelle quali, riguardo ad un determinato argomento, due condominii votano positivamente con 67 voti favorevoli e 33 contrari, mentre nel terzo condominio tutti e 100 i partecipanti votano negativamente, ebbene, nell'assemblea del supercondominio, avremmo una maggioranza di due voti favorevoli, espressi dai rappresentanti dei rispettivi condominii, ed uno contrario, a fronte del fatto che, in realtà, solo 134 condomini hanno votato a favore e ben 166 contro. In quest'ottica, si suggerisce di superare il problema mediante la formazione di tabelle millesimali ad hoc per il supercondominio, con cui il voto del rappresentante venga adeguatamente correlato al «peso» delle unità immobiliari rappresentate nell'assemblea del medesimo supercondominio. Adunanza plenaria Resta inteso che se i partecipanti al supercondominio sono sessanta o meno, come anche per le deliberazioni che attengono alla manutenzione straordinaria o alle innovazioni, riprende vigore la regola di funzionamento dell'assemblea c.d. plenaria, sicché ciascuno mantiene la facoltà di presenziare, direttamente o per delega, all'assemblea del supercondominio, come anche la facoltà di impugnare eventuali statuizioni di tale assemblea, contrarie alla legge o al regolamento, qualora sia assente, astenuto o dissenziente; in pratica, in quest'ultima ipotesi, al singolo non viene più negata la possibilità di partecipare alle assemblee del supercondominio e, pertanto, di prendere diretta conoscenza delle problematiche che possono emergere proprio nel corso della relativa riunione e che, operando il meccanismo sopra delineato, non avrebbe avuto la possibilità di approfondire o, addirittura, conoscere. Alcuni autori (Cirla-Rota, 63; Rota, 23) ritengono «preoccupante» lo spirito innovativo della Riforma, in quanto non solo in contrasto con il diritto di ogni singolo condomino di concorrere direttamente alla formazione della volontà del proprio condominio, ma anche con quanto disposto nel comma 1 dell'art. 67 disp. att. c.c., dove è espressamente prevista la possibilità, e non l'obbligo, di conferire la delega, che rimane una facoltà per il singolo liberamente esercitabile, senza che tale scelta gli venga imposta, invece, dalla maggioranza degli altri condomini. In proposito, è intervenuta un'interessante pronuncia di un giudice meneghino (Trib. Milano 30 agosto 2016, confermata da App. Milano 9 maggio 2018), il quale ha opinato che l'assemblea «ridotta», ossia quella costituita dai soli rappresentati dei singoli condominii, non possa revocare l'amministratore del supercondominio, in quanto spetta solo all'assemblea «ordinaria» decidere in qualsiasi momento di sostituire l'amministratore – peraltro, senza necessità di giusta causa – purché a deliberarlo sia la maggioranza degli intervenuti che rappresenti almeno la metà del valore millesimale del supercondominio, attribuendo ai rappresentanti di ogni condominio il diritto di deliberare esclusivamente sulle questioni riguardanti la «gestione ordinaria delle parti comuni» e la «nomina dell'amministratore». Secondo tale decisione, la Riforma del 2013 è chiara nel prevedere i precisi compiti attribuiti ai rappresentanti, non lasciando spazio, proprio perché disposizione eccezionale, ad applicazioni analogiche: atteso che trattasi di deroghe che comprimono le facoltà ed i poteri inerenti alla partecipazione dei singoli all'organo collegiale, le stesse non potranno che essere considerate quali norme di diritto singolare, e perciò oggetto soltanto di stretta interpretazione (l'art. 67 disp. att. c.c. costituisce un «vistoso vulnus al principio di democrazia partecipata in seno al condominio che vede, quali protagonisti, unicamente i condomini e non i soggetti delegati»). Quindi, laddove la l. n. 220/2012 chiama i rappresentanti ad intervenire sulla sola gestione «ordinaria» del supercondominio e li investe della nomina dell'amministratore implicitamente ritiene che la revoca, in quanto non menzionata, sia un atto di «straordinaria amministrazione» (il criterio discretivo rispetto agli atti di ordinaria di amministrazione è stato, da ultimo, ripreso da Cass. II, n. 10865/2016). Ad avviso del decidente lombardo, si è inteso semplificare il procedimento di nomina dell'amministratore del supercondominio, proprio per evitare, soprattutto in quelli di notevoli dimensioni, il crearsi di momenti di criticità nella gestione ordinaria, ma tale pericolo non si verifica nel caso della revoca, la cui mancata deliberazione non crea affatto interruzione della gestione (la revoca, d'altro canto, «denota momenti di fibrillazione della vita assembleare e del rapporto negoziale intercorrente tra amministratore e condomini»). A nulla rileva che l'art. 1136, comma 4, c.c.accomuni la nomina e la revoca ai fini delle maggioranze richieste per validamente deliberare, poiché si tratta di una regola comunque applicabile al supercondominio «a prescindere dalla composizione dell'organo assembleare», anche se ciò appare in contrasto con il principio di simmetria tra potere di nomina/revoca dell'amministratore da parte del supremo organo gestorio. Più problematica si rivela, invece, la situazione per cui, alla revoca da parte dell'assemblea, deve sùbito seguire, come impone ora il novellato art. 1129, comma 10, c.c., la nomina del successore, proprio al fine di evitare che il condominio si trovi in un (anche se brevissimo) vuoto gestionale. Tuttavia, accolta la soluzione per cui la nomina spetta ai rappresentanti e la revoca all'assemblea di tutti i partecipanti al supercondominio, ci si potrebbe trovare davanti ad una impasse causata dall'impossibilità, da parte della suddetta assemblea, una volta deliberata la revoca dell'amministratore in carica, di procedere alla nomina del nuovo, apparendo troppo macchinosa la convocazione contestuale, in un'unica riunione, delle due assemblee, quella dei (soli) rappresentati per la nomina e quella dei (tutti) condomini per la revoca. Appare più ragionevole sostenere che, se l'assemblea dei rappresentanti del supercondominio ha, ex lege, il potere di nominare l'amministratore di quest'ultimo, essa non può non avere anche il potere di revocarlo; infatti, se si fa divieto all'assemblea dei rappresentanti del supercondominio di revocare l'amministratore in carica, si espropria la stessa dell'attribuzione, ad essa legislativamente oramai spettante, di nomina del nuovo amministratore (Scarpa, 2016, 18). Appare maggiormente coerente, oltre che imposto dal carattere fiduciario del rapporto che si instaura tra assemblea nominante ed amministratore nominato, riservare all'organo collegiale la competenza riguardo sia alla designazione, sia alla revoca del mandatario dapprima incaricato, quantomeno alla luce del principio del contrarius actus. Peraltro, i giudici di legittimità hanno, di recente, ribadito che la nomina di un nuovo amministratore del condominio non richiede neppure la previa formale revoca dell'amministratore in carica, atteso che, dando luogo l'investitura ad un rapporto di mandato, essa comporta automaticamente, ai sensi dell'art. 1724 c.c., la revoca di quello precedente (Cass. II, n. 9082/2014, che richiama Cass. II, n. 5608/1994). Qualora si precludesse alla suddetta assemblea il potere di revoca, non le si potrebbe impedire di procedere alla nuova investitura, e sembrerebbe incoerente considerare invalida la deliberazione che «esplicitamente» revochi il precedente amministratore e ritenere invece valida quella che, limitandosi con furbizia a nominare il suo successore, comporti soltanto «implicitamente» il medesimo effetto risolutivo in capo all'amministratore in carica. Per il resto, rimangono aperte altre questioni – cui si dovrà confrontare a breve la giurisprudenza – quali il «peso» del voto di ciascun rappresentante all'interno dell'assemblea del supercondominio, la legittimazione del singolo ad impugnare la deliberazione adottata, l'individuazione del dies a quo per opporsi giudizialmente, e quant'altro. Unità immobiliare in regime di usufruttoGli ultimi tre commi dell'art. 67 disp. att. c.c. – come modificati dalla l. n. 220/2010 – attualmente dispongono che l'usufruttuario di un'unità immobiliare esercita il diritto di voto negli «affari che attengono all'ordinaria amministrazione e al semplice godimento delle cose e dei servizi comuni», mentre, nelle altre deliberazioni, il diritto di voto spetta ai proprietari, salvi i casi in cui l'usufruttuario intenda avvalersi del diritto di cui all'art. 1006 c.c. oppure si tratti di lavori od opere ai sensi degli artt. 985 e 986 c.c. (aggiungendo che, in tutti questi ultimi casi, l'avviso di convocazione deve essere comunicato sia all'usufruttuario sia al nudo proprietario). Anche qui, in pratica, il legislatore ha voluto un «unico» rappresentante per ogni proprietà individuale ed ha autorizzato perciò a votare in sede assembleare o l'uno o l'altro dei predetti soggetti (si presume entrambi noti all'amministratore in forza dell'anagrafe condominiale di cui all'art. 1130, n. 6, c.c.). In ordine alla distinzione di cui sopra, soccorrono anche gli artt. 1004 e 1005 c.c., secondo cui sono a carico dell'usufruttuario «le spese e, in genere, gli oneri relativi alla custodia, amministrazione e manutenzione ordinaria (nonché) le riparazioni straordinarie rese necessarie dall'inadempimento degli obblighi di ordinaria manutenzione», mentre sono a carico del nudo proprietario le «riparazioni straordinarie (che) sono quelle necessarie ad assicurare la stabilità dei muri maestri e delle volte, la sostituzione delle travi, il rinnovamento, per intero o per una parte notevole, dei tetti, solai, argini, acquedotti, muri di sostegno o di cinta» (l'elenco non appare tassativo, ma indicativo). Per quanto le disposizioni in parola non coincidano perfettamente nella loro formulazione, si è rilevato, però, che tra le stesse sussiste una sorta di «compensazione», che consente di definire il quadro che il legislatore ha lasciato incompleto per ciò che concerne il condominio; infatti, tra le stesse disposizioni esiste, pur nella loro sottile differenza, una stretta affinità, nel senso che, appartenendo all'usufruttuario l'uso ed il godimento dell'appartamento, è ragionevole addossargli anche la responsabilità e l'onere di provvedere, anche mediante il voto assembleare, a tutto ciò che concerne la conservazione dell'immobile nella sua sostanza materiale e nella sua attitudine produttiva, mentre va riservato al nudo proprietario il voto nelle deliberazioni che attengono all'integrità ed alla destinazione del medesimo (in proposito, la dottrina ha avuto modo di analizzare la tematica in tutte le sue sfaccettature: in argomento, Avigliano, 23; Bordolli 2012, 347; Natali 2012, 212; Musolino, 1185; De Tilla 2007, 151; Santersiere 1997, 455). Orbene, qualora nel condominio sono presenti unità immobiliari gravate di usufrutto – lo stesso dicasi ove esistente un diritto di uso o di abitazione, v. appresso – si pone il problema connesso all'individuazione, tra il nudo proprietario e l'usufruttuario, del soggetto legittimato a partecipare all'assemblea e ad esprimere il proprio voto; entrambi rientrano, a pieno titolo, tra gli «aventi diritto» che devono essere convocati all'assemblea condominiale, ai sensi del novellato comma 6 dell'art. 1136 c.c., ma ognuno di loro è titolare di un diverso diritto che, seppur riguardante la medesima unità immobiliare, li legittima a partecipare ed a votare autonomamente (e non in sostituzione l'uno dell'altro, salvo ovviamente una delega ad hoc). Al riguardo, l'art. 67 citato – pur leggermente modificato dalla novella del 2013 – ha indicato quali sono le questioni sulle quali usufruttuario e nudo proprietario possono votare in sede assembleare, e, formulata in questi precisi termini, ha risolto, implicitamente, anche la questione che riguarda l'individuazione del soggetto al quale l'amministratore del condominio deve inviare il relativo avviso di convocazione: il legittimo destinatario di tale avviso, pertanto, andrà di volta in volta identificato tra i due soggetti in parola riguardo agli argomenti posti all'ordine del giorno della riunione, e nessuno di essi può dare il suo voto nelle materie riservate all'altro (Cass. II, n. 10611/1990). Invero, le novità apportate dalla Riforma sono solo nel senso della risistemazione, ai commi 6 e 7, delle modalità di convocazione e del diritto di voto in assemblea: in pratica, si mantiene fermo il diritto dell'usufruttuario negli affari che attengono all'ordinaria amministrazione ed al semplice godimento delle cose e dei servizi comuni, e si riserva in tutte le altre deliberazioni il diritto di voto al proprietario – in precedenza, si faceva espresso riferimento alle «innovazioni, ricostruzioni od opere di manutenzione straordinaria delle parti comuni dell'edificio» – salvi i casi in cui l'usufruttario intenda avvalersi del diritto di cui all'art. 1006 c.c., oppure si tratti di lavori o opere ai sensi degli artt. 985 e 986 c.c., perché, in queste ultime ipotesi, è necessario avvisare entrambi dell'assemblea (Riccio, 17); tale situazione dovrebbe essere circoscritta ai «casi» di cui sopra, perché negli «affari» del comma 6 vota solo l'usufruttuario e «nelle altre deliberazioni» vota solo il nudo proprietario, a meno che non si voglia interpretare la locuzione «in tutti questi casi» come un obbligo indifferenziato di convocare entrambi a prescindere dall'oggetto della deliberazione. Segnatamente, l'art. 1006 c.c. contempla l'ipotesi in cui il nudo proprietario rifiuti di eseguire le riparazioni poste a suo carico o ne ritardi l'esecuzione senza giusto motivo, legittimando l'usufruttuario a farle eseguire a proprie spese, rimettendone il rimborso a fine usufrutto; gli artt. 985 e 986 c.c. disciplinano, rispettivamente, il diritto dell'usufruttuario ad un'indennità per i miglioramenti e la possibilità per lo stesso di eseguire addizioni che non alterino la destinazione della cosa. Si tratta – a ben vedere – di inutili complicazioni, anche perché riguardano essenzialmente accadimenti relativi all'unità immobiliare in proprietà solitaria piuttosto che le parti comuni dell'edificio e che, comunque, presuppongono che venga data idonea comunicazione all'amministratore, affinché quest'ultimo provveda ad inviare l'avviso sia all'usufruttuario che al nudo proprietario; forse, è proprio l'incertezza di tali situazioni che ha suggerito il legislatore ad imporre all'amministratore, per esigenze di semplificazione, la convocazione di entrambi, salvo distinguere, in sede assembleare, il diritto di voto in capo all'uno o all'altro. Per fare qualche esempio concreto, si è ritenuto che le deliberazioni concernenti la nomina dell'amministratore e la determinazione del suo compenso riflettono affari di ordinaria amministrazione, in quanto riguardanti il normale svolgimento della vita condominiale e, pertanto, debbano essere adottate dall'assemblea con la preventiva convocazione e con il voto dell'usufruttuario (Cass. II, n. 124/1978); il voto spetterà all'usufruttuario, altresì, ogni qual volta si discuta della ripartizione delle spese di portierato; di contro, si è individuato il voto in capo al nudo proprietario qualora l'inadempimento agli obblighi inerenti alla manutenzione ordinaria comporti la necessità di interventi straordinari (Cass. II, n. 62/1968; cui adde Cass. II, n. 1215/1969, riguardo alla riparazione straordinaria costituita dalla rinnovazione dell'ascensore); parimenti, dovrà essere convocato il nudo proprietario per le deliberazioni che abbiano per oggetto le modificazioni delle tabelle millesimali, o per l'approvazione del preventivo di spesa relativa al rifacimento della facciata condominiale, trattandosi appunto di opere di manutenzione straordinaria (v., di recente, Cass. II, n. 16774/2013). Si conviene che l'obbligo di comunicare all'amministratore l'assunta qualità di usufruttuario ricada sul nudo proprietario, sicché, se offerta, nelle forme debite, tale notizia, il mancato invito del primo può essere causa di invalidità della deliberazione, mentre, in difetto, l'assemblea può validamente statuire con la sola convocazione del secondo; in parole povere, all'esterno, per il condominio figura quale membro solo il proprietario fino a quando l'usufruttuario, che ha avuto solo rapporti con lui, non sia entrato nella compagine condominiale facendosi conoscere. La netta distinzione operata dal legislatore nell'attribuire il diritto di voto ora all'usufruttuario, ora al nudo proprietario, suggerisce, pertanto, a quest'ultimo, che ha un particolare ed evidente interesse che il primo sia conosciuto dal condominio, di comunicare il nominativo del titolare del diritto reale di godimento all'amministratore, al fine di consentirgli di inviare la convocazione dell'assemblea direttamente all'interessato (incombente, questo, imposto obbligatoriamente dall'art. 1130, n. 6, c.c. perché, all'interno della c.d. anagrafe condominiale, ora vanno inserite le generalità dei «titolari dei diritti reali»). Una volta che il condomino abbia adempiuto a tale incombente, l'usufruttuario potrà, a seguito del mancato ricevimento dell'avviso, esercitare legittimamente ed autonomamente il diritto di impugnare, nei limiti dell'art. 67 disp. att. c.c. e nei termini di cui all'art. 1137 c.c., la deliberazione assembleare chiedendone l'annullamento; qualora, invece, il nudo proprietario non provveda ad informare l'amministratore, questi continuerà a convocarlo regolarmente. Tale netta distinzione circa l'entità e la natura degli interventi sui beni comuni indicati nell'art. 67 citato, era stata ben presa in considerazione in una sentenza del Supremo Collegio, secondo la quale la deliberazione con cui il condominio approvava il preventivo o il rendiconto per le spese, ordinarie e straordinarie, doveva, a pena di invalidità per contrarietà alle norme che disciplinavano i diritti e gli obblighi dei partecipanti al condominio, distinguere analiticamente quelle occorrenti per l'uso da quelle occorrenti per la conservazione delle parti comuni; in tal modo, era, altresì, possibile, se tra i partecipanti vi fossero usufruttuari, ripartire tra i medesimi ed i nudi proprietari dette spese in base alla natura delle stesse, secondo i criteri stabiliti dagli artt. 1004 e 1005 c.c., con una mera operazione esecutiva (Cass. II, n. 15010/2000). La sentenza era decisamente importante in quanto, per la prima volta, rendeva l'usufruttuario direttamente obbligato nei confronti del condominio, con la possibilità di una sua maggiore tutela rispetto al passato, in quanto la suddivisione analitica delle spese ne consentiva il controllo sotto il profilo della regolarità e della loro conseguente esatta attribuzione ai soggetti interessati; a tale posizione più favorevole dell'usufruttuario in seno al condominio corrispondeva, peraltro, una maggiore salvaguardia degli interessi del nudo proprietario il quale, con il venire meno di quel vincolo di solidarietà che fino allora aveva caratterizzato il suo rapporto con l'usufruttuario nei confronti del condominio – si rammenta, infatti, che prima della citata sentenza unico obbligato al pagamento delle spese era il condomino il quale, poi, si poteva rivalere, in via di regresso, sull'usufruttuario inadempiente per la quota di sua spettanza – non sarebbe stato più tenuto a rispondere verso lo stesso per le morosità di chi disponeva e godeva dell'immobile in questione. Tuttavia, ferma restando la previgente disciplina nei rapporti interni, attualmente, l'usufruttuario ed il nudo proprietario sono entrambi obbligati in solido per il pagamento dei contributi dovuti nei confronti della gestione condominiale, ai sensi del nuovo comma 8 dell'art. 67 disp. att. c.c. – nel senso di escludere la responsabilità sussidiaria o solidale, v., di recente, Cass. II, n. 2236/2012, aggiungendo che, ove il nudo proprietario agisca nei confronti dell'usufruttuario per il rimborso di spese attinenti ai servizi comuni da lui sostenute, nel relativo giudizio è consentito all'usufruttuario contestare il debito sul rilievo del mancato godimento di tali servizi; Cass. II, n. 21774/2008 – anche se all'usufruttuario rimane precluso il diritto di votare nelle deliberazioni che concernono la manutenzione straordinaria, e lo stesso dicasi al nudo proprietario per quanto concerne gli affari che attengono all'ordinaria amministrazione e al semplice godimento delle cose e dei servizi comuni, In proposito, si è osservato che, potendo oramai essere costretti sia l'usufruttuario sia il nudo proprietario all'adempimento per la totalità delle spese dovute al condominio, indipendentemente dal fondamento dell'esborso, ancor meno si reputerà indispensabile, in sede di approvazione del preventivo o del rendiconto delle spese ordinarie o straordinarie, la specifica indicazione del soggetto cui vada imputato il relativo obbligo di contribuzione (Scarpa 2013, 510). Per completezza (Tortorici 2014, 14), vanno richiamate le disposizioni di cui all'art. 1025 c.c. – «chi ha l'uso di un fondo e ne raccoglie tutti i frutti o chi ha il diritto di abitazione e occupa tutta la casa è tenuto alle spese di coltura, alle riparazioni ordinarie e al pagamento dei tributi come l'usufruttuario» – e di cui all'all'art. 1026 c.c. – «le disposizioni relative all'usufrutto si applicano, in quanto compatibili, all'uso e all'abitazione» – per cui l'avviso di convocazione all'assemblea dovrà essere recapitato, a seconda dell'oggetto della deliberazione, o al proprietario oppure all'usuario o titolare del diritto di abitazione (non vanno convocati, invece, i titolari di diritti di servitù, né i titolari di diritti reali di garanzia). Sul versante dell'obbligo contributivo ed affrontando una fattispecie ratione temporis antecedente alla l. n. 220/2012, il Supremo Collegio (Cass. II, n. 9920/2017) ha precisato che, ove un appartamento sia oggetto di diritto reale di abitazione, gravano sul titolare di quest'ultimo le spese di amministrazione e di manutenzione ordinaria, mentre cedono a carico del nudo proprietario quelle per le riparazioni straordinarie, trovando applicazione, giusta l'art. 1026 c.c., le disposizioni dettate dagli artt. 1004 e 1005 c.c. in tema di usufrutto, aggiungendo che, proposta opposizione a decreto ingiuntivo ottenuto per il pagamento degli oneri condominiali, costituisce mera emendatio libelli, consentita, la richiesta, precisata da parte dal condominio opposto in sede di comparsa di costituzione e risposta, di condanna dell'opponente al pagamento di un importo inferiore a quello ingiunto e corrispondente alle sole spese condominiali di manutenzione e di amministrazione ordinaria, con esclusione di quelle di straordinaria amministrazione, in ragione della titolarità, in capo all'obbligato, anziché del diritto di proprietà, come esposto nel ricorso monitorio, del diritto reale di abitazione sulla stessa unità immobiliare (in argomento, v., altresì, Cass. II, n. 22898/2007, secondo cui, In tema di condominio, la cui disciplina codicistica trova applicazione anche nel caso, come nella specie, di due soli condomini, l'usufruttuario di una delle due unità abitative ha titolo per commissionare, legittimamente nei confronti dell'altro condomino, i lavori di riparazione urgente della cosa condominiale comune, essendo a tal fine abilitato ad agire anche in dissenso dell'intestatario della nuda proprietà). 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